28 novembre 2006

Da Rionero la poesia di Maria Pina Ciancio incanta il Vulture

[riflessioni -2]
Si è conclusa in un’atmosfera di emozione e commozione la serata del 26 Novembre, dedicata alla poetessa Maria Pina Ciancio accompagnata dal New Music Trio, inclusa negli appuntamenti del Lucania Poesia Festival 2006 a Rionero in Vulture e che quest’anno si svolge dal 22 Novembre al 16 Dicembre.
L’iniziativa che ha riscosso successo di pubblico e di critica in questi anni, è nata nel 2003 grazie alla passione per la letteratura e la musica di un gruppo di amici, tra cui spiccano Antonio Savella e Antonio Libutti, e anche e soprattutto grazie alla loro caparbia volontà di credere nella cultura come ad un alto valore sociale da proporre, e come ad un patrimonio universale da sprovincializzare dal confine lucano, là dove la qualità lo richiede.
Così dall’istituzione dell’Associazione La Cetra e la Lyra è nato il Festival che vede ogni anno la partecipazione dei nomi più imponenti del panorama letterario italiano, tra cui Roberto Saviano, Christian Raimo, Nicola Lagioia, Laura Pariani, Luciano Erba, Paola Loreto, Giancarlo Sissa, Assunta Finiguerra, Gabriele Frasca, Roberto Silvestro e tanti altri ancora.
Nel calendario delle manifestazioni del 2006 ha partecipato anche la poetessa lucana Maria Pina Ciancio di San Severino, una scrittrice attiva da anni, che ha avuto svariati riconoscimenti in campo nazionale. Un’artista eclettica capace di utilizzare la fotografia, la narrativa per ragazzi, la saggistica, il reportage narrativo, il linguaggio del blog con una naturalezza che affascina ed è chiara manifestazione di un vero ed incontaminato talento. Un talento complesso, che da venti anni produce in silenzio e umiltà, e che si è fatto voce di luoghi e di donne nel reading di domenica sera, presso il Centro Sociale "P. Sacco" di Rionero in Vulture, in una sala gremita di gente ipnotizzata e appesa al filo della tensione poetica che l’autrice ha saputo evocare nella sua lettura con forza e intensità fino all’ultimo verso.
Una voce di donna, drammatica e autentica, contraddittoria a tratti, complessa appunto, straordinariamente umana, così l’ha definita Elena Schifino critica d’arte, altro manifesto talento apprezzato dal pubblico nel corso della serata.
Versi pieni di viaggi, di fantasmi, di storie, di donne e di “sguardi di terra annodati alla luna” sono apparsi chiaramente come la sintesi dinamica e svelata di un vissuto che accomuna le tante donne del Sud, che nella parola poetica hanno trovato conforto e coraggio, rabbia e fierezza, cruda espressione di un destino e dolcezza riscoperta di cuore.
La semplicità e l’essenzialità con cui la Ciancio ha letto i versi inediti e alcuni frammenti in prosa poetica, hanno senz’altro incoraggiato il pubblico ad incamminarsi nel lento e necessario viaggio verso se stessi, a cui solo la vera Poesia sa condurre e che l'autrice, da sempre in viaggio "verso Sud", ha sostenuto con l’altruismo, la profondità e la passione vera di donna-madre-figlia, che sa farsi umilmente verso, carezza, gemito strappato e donato alla vita.
Un’iniziativa che senz’altro incoraggia chi ama la scrittura come esperienza viva, che sta appieno in una mappa esistenziale e la determina in parte, che si fonde in essa senza confondersi con essa.
Ci piace constatare che per una volta sono i veri talenti ad avere lo spazio che meritano, e la filosofia adottata dagli organizzatori ce lo conferma, essendo tesa ad una sperimentazione costante, sintomo di crescita, e alla difesa di una scelta libera e consapevole delle persone da interpellare, che non cede dunque alle tante proposte di compromesso a cui spesso la Cultura in questa regione è sottoposta.
Le ricadute a distanza di anni sono già evidenti, il Festival è apprezzato in tutta Italia e il coinvolgimento di nomi sempre più importanti diviene sempre meno difficile per gli organizzatori, che oltretutto hanno il merito di offrire una straordinaria ospitalità agli artisti.
Uno sguardo nuovo sulla Cultura, che finalmente comincia a convincere, che rende sinergica e comunicativa la nostra arte, troppo spesso trascurata e sottovalutata in campo nazionale.
A Maria Pina Ciancio vanno i miei più sinceri auguri e i miei complimenti più vivi.
by Maria Luigia Iannotti

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14 novembre 2006

Il Sud di Vincenzo Corraro tra partenze, sradicamenti e ritorni

[percorsi -7]
Un romanzo denuncia e una spietata riflessione sui tempi moderni definirei il romanzo di Vincenzo Corraro che si dilata e si restringe dal macrocosmo al microcosmo e viceversa, attraversando a raggiera tutte le problematiche politiche, sociali e culturali della nostra epoca. E’ una storia ambientata tutta a Sud quella di Sahara Consilina, ma l’elemento di novità dirompente è che il sud di Corraro non è quello della mafia, della ndrangheta, del brigantaggio, è bensì quello dei nostri giorni, la storia comune e normale di un gruppo di giovani studenti fuorisede che vive in una città del nord “Era l’inverno del 1993. Era Bologna…”. Si tratta insomma dei figli della nuova emigrazione, quella acculturata, attraversata come tutte dal dramma dello sradicamento, che per amore e riscatto ritorna nella terra dei padri, perché è lì che i giovani che hanno la propria casa, gli amici, la voglia di concretizzare i propri ideali civili e le proprie passioni, perchè è lì che possono ritrovare e riappropriarsi delle proprie radici. Ecco allora che l’elemento attorno a cui si concretizza il viaggio di rientro al Sud di Johnny (voce narrante) e i suoi amici Antonio Vittorio, Mimmo, Jimmy, Thomas, sono le elezioni politiche del paese, con le riunioni, le assemblee, gli incontri zonali, la stesura del programma e della lista, i comizi, lo spoglio elettorale, tutto vissuto giorno per giorno insieme agli amori, le attese e le speranze. Illusioni e delusioni di un gruppo che sa ed è consapevole che “niente è scontato perché il viaggio di ritorno è sempre un rischio -come scrive Salvatore De Siena sul risvolto di copertina- il rischio di essere andati troppo avanti o di essere rimasti troppo indietro rispetto ai cambiamenti che avvengono nei luoghi di partenza, rimanendo così nuovamente stranieri”. E proprio da un testo del mitico gruppo musicale “Il parto delle nuvole pesanti”, di cui De Siena è componente, Vincenzo Corraro trae lo spunto che dà l’avvio alla storia e al suggestivo titolo del romanzo. Un libro in movimento, dallo sviluppo dinamico, non solo per la lingua, ma soprattutto per le tante storie che vi si intrecciano, per i numerosi personaggi, i commenti, le opinioni, le perplessità di un’intera Italia e un’intera classe politica e televisiva che l’attraversa in passerella, come dimostra un accurato indice dei nomi e delle citazioni di coloro che “hanno partecipato –al libro- senza saperlo”. Un’opera aperta insomma, che consente di essere letta e gustata a pieno in qualsiasi punto del narrato ci si trovi. Originale ed efficace, immediata e diretta è anche la lingua di Corraro, che si sviluppa in periodi ampi, vicini al parlato, al gergo giovanile, agli idiomi e ai regionalismi del nord e del sud Italia. Ma è anche una lingua quella di Corraro “che sa di intimo ed evoca l’intimo” come scrive la linguista Gabriella Conti. Una prosa avvincente e a tratti poetica, dove i versi non si vedono, ma si sentono, eccovene un esempio nello stralcio che segue. "L'inverno che arriva di nuovo, improvviso e gelato al paese. Arriva insieme ad altre mille sempiterne certezze, tipo i ricci e le castagne (...) Lo senti che sibila nei pullman della SLA per Napoli delle cinque e dieci, sei e un quarto a Lagonegro, dalle fessure del riscaldamento guastato, lo scorgi dai vetri sui capannoni bianchi di brina dell'area industriale di Polla, appena dopo Sala, lo vedi nel volo corto e basso dei piccioni che non sanno prendere via come i compagni, sulla vernice metallizzata delle concessionarie adiacenti all'autostrada. Lo capisci dai discorsi degli studenti in programmazione modulare per argomenti-madre tipo l’affitto da pagare, nuovi inquilini da cercare, il calendario dei corsi e i semestri intasati di lezioni e scadenze tra la vita e la morte. Lo senti addosso più forte, quando vedi l’autista che lascia il volante, soffia forte svelto dentro le mani a coppa e scuote le spalle abbandonando il cambio d’aria e di marcia in uno sbadiglio. Dopo ricomincia a imprecare sui pulsanti dell’aria calda che non vanno, a maledire la ditta che non fa i dovuti controlli, tenendoci a dire da buon cristiano che lui è fuori da ogni responsabilità se uno studente si ammala durante il viaggio”. Nessuna ricercatezza o artificio linguistico, in Sahara Consilina è sempre la concretezza, la realtà e la semplicità a restituirci con forza, la magia dei sapori, degli odori e dei colori della terra Lucana. Un romanzo a tratti autobiografico e intimo, in cui l’autore sa guardare in prospettiva alla materia del narrato e sa dosare tra le righe quella giusta ironia capace anche di far sorridere.
Vincenzo Corraro, Sahara Consilina, Ed. Palomar (collana diretta da Michele Trecca), Bari 2004, p. 280, E.15
by Maria Pina Ciancio

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12 novembre 2006

Tra luce e ombra Francesca Zito ci racconta il suo sguardo interiore sulle cose

[riflessioni -1]

" La luce ha un'anima e la fotografia è la scrittura del dialogo tra luce e ombra" (V.Storaro)
Esistono molte cose nella vita che catturano lo sguardo, tuttavia solo poche catturano i nostri cuori: quando fotografo tendo a seguire ciò che riesce a destabilizzarmi (perché diverso e altro da me) o ciò che m’ispira profonda empatia. Ho sempre pensato che ciò che vediamo delle cose non sono soltanto le “cose”, infatti se guardiamo bene, riusciamo a trovare qualcosa di bello anche nelle cose più brutte. La meraviglia è in noi, non nelle cose. Lo stupore interiore è la molla di ogni scoperta. Guardare le cose da un altro punto di vista offre sempre scenari inaspettati e la fotografia è esattamente questo per me. Anche se credo che non è tanto importante da dove si guarda, ma come si guarda. A volte nemmeno ti accorgi che le cose più belle le hai proprio lì, a portata di mano. Sono talmente vicine a nostri occhi che non le vediamo.
Fotografare è comunicare, i grandi fotografi sono in grado di raccontare agli altri, io racconto a me stessa. Una fotografia infatti per me altro non è che il prologo di un romanzo, l’incipit di una poesia, l’intro di una melodia, la prima inquadratura di un film, un mio personale racconto interiore. Con la fotografia mi racconto delle storie. Perché come scriveva Baudelaire: “L’immaginazione è la prima fonte di felicità.”
Diventa un onore riuscire a raccontare anche agli altri. Le rare volte che involontariamente ci sono riuscita mi sono commossa, perché riuscire a toccare le corde di un’anima è sempre un dono ed una profonda responsabilità.
Ho svolto svariate attività nella mia vita e mi sono persuasa che il modo migliore per indagare se stessi è confrontarsi con gli altri. Guardare, ascoltare. Attraverso la macchina fotografica questo scambio non si esaurisce mai. Perché sempre la vita ci mette davanti qualcosa di nuovo. Dietro il mirino aspetto che qualcosa o qualcuno, una voce, un profumo, una visione mi venga a cercare e mi trovi preparata per cogliere un istante.
La mia idea interiore di comunicazione fotografica e non parte dai pensieri di due grandi scrittori: Baricco e Calvino.
Sguardo meraviglioso che è vedere senza chiedersi nulla, vedere e basta. Qualcosa come due cose che si toccano - gli occhi e l'immagine - uno sguardo che non prende ma riceve, nel silenzio più assoluto della mente, l'unico sguardo che davvero ci potrebbe salvare - vergine di qualsiasi domanda, ancora non sfregiato dal vizio del sapere - sola innocenza che potrebbe prevenire le ferite delle cose quando da fuori entrano nel cerchio del nostro sentire-vedere-sentire- perché sarebbe nulla di più che un meraviglioso stare davanti, noi e le cose, e negli occhi ricevere il mondo - ricevere - senza domande, perfino senza meraviglia - ricevere - solo- ricevere - negli occhi - il mondo. (A.Baricco)
Sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze. (da Lezioni americane - Italo Calvino)
[in alto a sinistra foto di Francesca Zito -VoltoGiovanissimo, Noepoli - PZ 2004]
by Francesca Zito

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