30 gennaio 2008

Il Sud di Andrea di Consoli

[percorsi -20]
Il romanzo che lo scrittore Di Consoli ci propone è da annoverarsi tra le belle prove di scrittura di quel filone meridionalista che va riscoprendo la forza delle radici e il dormiveglia nel quale è crollata la popolazione delle regioni del Sud Italia a causa delle cattive e facoltose abitudini sociali. Stiamo dicendo che a causa dell'eccessivo benessere la gente del Sud della penisola ha completamente dimenticato le grandi prove di scrittura che hanno caratterizzato gli anni tra la seconda guerra mondiale e la recessione industriale degli anni Ottanta. Abbiamo letto il romanzo di Carmine Abate La festa del ritorno (Mondadori, 2004) che ha molte similitudini con Il padre degli animali. In modo particoalare per quanto riguarda i riti antichi, quelli arborei, i fuochi delle stoppie nei campi, i balli, i falò e la gente intorno, le bevute insieme, il calore di un meridione che sta cambiando sotto i nostri occhi mediante i duri colpi di una politica consumistica calata dalla parte ricca della Bella Italia. Per quanto si tenti di allontanare la paura della morte, questa ritorna forte, si insinua in ogni pagina del romanzo proprio come nelle poesie del Nobel Quasimodo, quasi come un'acqua sorgiva che scaturisca dagli occhi della nostra terra calda e colma di luce solare. Gli animali. Animali senza nome che hanno lavorato ininterrottamente in Svizzera, ma sarebbero potuta essere la Germania, il Belgio o altre nazioni, alla costruzioen delle case, delle fabbriche, delle autostrade, dei negozi, della miriade di edifici delle grandi metropoli oltralpe. Animali che hanno visto i propri figli, i nipoti, morire al Sandis Park di Zurigo per overdose, o suicidarsi spingendosi dal ponte dei sospiri di Appenzell. Animali che sono tornati a casa carichi di soldi ma poverissimi di affetto. Hanno visto i propri figli e nipoti finire in malo modo proprio quando sono rientrati in paese e hanno completato la loro fuga, quella degli anni Sessanta, con un rientro privo di qualità, di riconoscenza da parte dei paesani e nella perdita dei figli incapaci di adattarsi a questo cambiamento. Tre parti di un romanzo forte e costruttivo, mai rabbioso, mai stonato, nonostante sia pervaso da un dolore cosmico che si affaccia alla fede per racimolare una piccola forza di rivincita.Il Sud raccontato dal Nostro è quello della Val d'Agri, dei pozzi petroliferi, della gente forte e buona della provincia tra Salerno e Potenza, quella terra lucana tanto cara ai giorni nostri a Leonardo Sinisgalli o a Rocco Scotellaro. Questa è anche la terra descritta da Carlo Levi nel suo Cristo si è fermato a Eboli o nel romanzo Ombre sull'Ofanto di Raffaele Nigro. Un romanzo che pagina dopo pagina scopre le difficoltà del ritornare a quella che dovrebbe essere la vita delle origini: una sorta di sorgente, come quella descritta dallo scrittore, che dovrebbe dissetare e invece non può più assolvere questo compito perché tutto il passato è divenuto “fango“ che distrugge la luce dei ricordi.Raccontato attraverso la figura di un figlio, il padre assume la grandezza e la saggezza dei “padri della terra“ (se ci sentono cantare) ma il canto è un lezzo di morte che percorre le vecchie generazioni e avvisa le nuove dei cambiamenti in atto. irreparabili, insormontabili, se non nella fuga da questi luoghi e da questa gente. In sintesi, quello che sta avvenendo da sempre al sud di ogni parte del mondo e in modo ravvicinato nel sud della nostra penisola italiana. La politica, la maledetta politica che tradisce la gente onesta e svilisce quanti credono in questa figura che si “aggiusta con la mano i grandi occhiali rossi“ tanto da condurla al suicidio o ad allontanarsi per sempre dai luoghi natali dopo aver conseguito la laurea. La politica con i suoi esponenti, piccoli e grandi, ha ucciso il Sud dal dopoguerra e non smette. Chi rappresenta lo Stato o indossa una divisa non si comporta in modo migliore di fronte alle paure degli onesti e alle palesi ingiustizie dei politici.Anche i preti fanno la loro parte.In questo dramma ancestrale e collettivo, la figura del padre, immensa e silenziosa, assume l'asse nord-sud, cielo-terra, bene-male, quasi come una strada di mezzo, una via di salvezza. La figura materna è appena accennata, poche volte ricordata, quasi in forma onirica, come un'alba lontana. Stupisce la frammentazione delle vite dei personaggi che si dispongono attorno alla figura del figlio e del padre. Come il ricorso alle metafore riprese dalla quotidinità di un sud in parte scomparso o che sopravvive in gesti ristretti a piccoli gruppi superstiti. Ogni pagina di questo romanzo, collocatosi tra i vincitori del Premio Napoli 2007, trasuda verità e meraviglia, calcando le belle pagine di uno scrittore come Bontempelli o quelle asciutte di Calvino. Un raccontare che somiglia a un viaggio, sostenuto con il convincimento che i cambiamenti stanno epurando al parte ancestrale delle buone tradizioni che il suo della penisola italiana conservava. I dialoghi, tra i personaggi e il cosmico, avvengono come frammenti di una lingua passata che nascondono il calore e la violenza del dialetto calabrolucano. In questo romanzo il dialetto non si affaccia a materializzare detti e frasi consuete. Lo fanno i gesti, i monologhi, le descrizioni, il testamento che lo scrittore Di Consoli consegna alla letteratura italiana consacrando, con questa bellissima prova alle soglie del nuovo secolo, la letteratura meridionale troppe volte ignorata e che invece continua ad offrire le forze migliori non solo di braccia ma di talenti letterari.
by Vincenzo D'Alessio

Etichette: ,

13 gennaio 2008

La dittatura di Dio di Vincenzo Capodiferro

[Saggi -1]
Sorprende ed incuriosisce sempre Vincenzo Capodiferro per i suoi scritti poliedrici, che vanno dalla poesia alla satira pungente e ritmata, all’antropologia, alla denuncia del degrado sociale e politico, alla storia. Questa volta esula dalle problematiche attuali e si tuffa in pieno periodo illuministico, esordendo con il saggio filosofico dal titolo provocatorio “La dittatura di Dio – Libertà e dispotismo in Nicolas Antoine Boulanger”, pubblicato nel mese di aprile 2006 dalla Casa Editrice Clinamen di Firenze, pp. 80.
L’autore è stato sollecitato ad interessarsi dell’ingegnere – filosofo Boulanger dal suo maestro ed amico, Antonio Motta, anche lui ingegnere e storico, scomparso di recente, che gli regalò il testo di Franco Venturi “L’antichità svelata e l’idea di progresso in N. A. Boulanger” del 1947.Venturi, in effetti, è il punto di riferimento essenziale per comprendere il pensiero di Boulanger, ma è anche quell’anello di congiunzione mancante tra l’Illuminismo e l’hegelismo liberaleggiante di Croce. Vincenzo Capodiferro, chiamato simpaticamente “il filosofo” dagli amici di Castelsaraceno, si è fatto carico di questo importante dono e l’ha restituito al suo maestro con la seguente dedica: ”Ad Antonio Motta, ingegnere stradale, mio Virgilio nel cammino infernale, dono arricchito il suo dono di Boulanger e del Diluvio Universale”. Occorre ricordare che lo storico Antonio Motta ha seguito Capodiferro nel suo interessante lavoro di storia “Una domenica di sangue – Terra e libertà nelle infime convalli lucane” del 2002. Nel saggio filosofico, corredato dalla presentazione di Antonietta Viola, laureata in Scienze politiche, e da una nota di Denis Diderot sulla vita di Boulanger, viene analizzato il pensiero sul dispotismo di Boulanger (1722-1759), un filosofo illuminista considerato di minore importanza, ma originale ed anticlericale. La sua vita fu “breve, solitaria prima, chiusa e quasi nascosta poi nel seno di un piccolo gruppo di amici”. Egli ricerca l’origine delle strutture religiose e politiche nel terrore provocato dai grandi cataclismi; infatti, fa risalire il tutto al diluvio universale, che ha sconvolto l’umanità ed i suoi effetti morali e fisici si risentono ancora nella collettività umana. La tirannide, dunque, è la prima forma di governo, scaturita dal terrore diluviano, al quale seguono le altre. Ě una concezione rivoluzionaria, questa, come anche, a livello morale, il bene e il male, sono semplici stati d’animo. Il problema che viene posto è come risolvere il dualismo uomo-Dio, che sta alla base dei paradossi che ne scaturiscono. Capodiferro ne analizza tre: 1) Se la religione e la filosofia hanno come medesimo oggetto il vero, perché la religione predica la ciclica distruzione universale, mentre la ragione il progresso infinito verso la libertà? 2) L’uomo è un essere storico che tende alla libertà, ma in quanto essere naturale è soggetto alla necessità. 3) Come conciliare l’idea del progresso infinito della ragione con la non eternità del mondo. Il Nostro, con disinvolta sicurezza, ripercorre le tappe della storia della filosofia, evidenziando le affinità e le differenze del Boulanger con S. Agostino, Vico, Hegel, Montesquieu, Croce. Mette in risalto come il Boulanger tenta di smascherare ogni forma di dittatura, riducendola ad una sorta di velata teocrazia umana. Il pensiero del filosofo illuminista, per Capodiferro, è oggi ancora valido, perché offre un metodo storico e sociologico adatto ad ogni valutazione del dispotismo. Non mancano le considerazioni critiche, rilevate alla fine del saggio, sul concetto di storia, sull’atteggiamento negativo verso la Chiesa, gli Ebrei e gli Orientali.Il merito di Capodiferro è quello di aver permesso, come ha sottolineato Antonietta Viola nella presentazione, che “il solitario Boulanger varcasse la soglia della sua solitudine umana per unirsi al coro dei saggi”, oltre a quello di essersi introdotto in un campo difficile, solo per gli eletti, ma anche entusiasmante ed intrigante, come quello della filosofia, che può portare alla seguente affermazione conclusiva: ”Dio ha creato l’uomo libero, l’ha dotato, infatti, al pari degli angeli, di libero arbitrio, non per dominare gli altri, ma per amarli. Non è giustificabile alcuna monarchia di Dio sugli uomini, ma una visione che lo proponga come Padre misericordioso più che come giudice giusto”. La lettura di questo saggio non mi ha affatto allontanato da Dio, ma mi ha fatto riflettere sulle possibili tentazioni dell’uomo che, in nome della sua presunta libertà, può sviluppare un pensiero deviante e distruttivo, che lo separa dalla sua natura. La nostra personalità, purtroppo, è divisa al suo interno.Ci sono in noi tanti “io” non collegati ad un unico centro. Ciascuno racchiude in sé tutta una serie di individui diversi: il cittadino, il professionista, il disoccupato, lo sposo, l’uomo di affari, il cristiano, l’anticlericale, l’uomo di mondo; tutte queste figure non sono ben coordinate fra loro. Ciascuna di esse vuole imporsi e prendere il sopravvento sulle altre.Non c’è unità in noi. Siamo perplessi e sballottati. Se, invece, ci lasciamo invadere dall’Amore di Dio, non possiamo considerare il nostro Creatore un despota, di cui aver timore, ma possiamo finalmente trovare unione in noi ed essere sorgente di luce e di speranza.
Vincenzo Capodiferro è nato a Lagonegro, in Provincia di Potenza, nel 1973, si è laureato in Filosofia presso la “La Sapienza” di Roma e attualmente vive a Varese.

by Teresa Armenti

Etichette: ,

Statistiche sito,contatore visite, counter web invisibile