08 ottobre 2006

Esplosione creativa nell’ultimo libro di Gina Labriola

[percorsi -6]
E’ un titolo curioso e stravagante Storie del pappagallo, ultimo lavoro della scrittrice lucana Gina Labriola, che a mo’ di cantastorie ci racconta favole, poesie, aneddoti e lo fa attraverso la voce curiosa, allegra divertita e anche un po’ civettuola di un pappagallo. Le motivazioni del titolo? Bhè sono tutte contenute a chiare lettere, nell’inusuale, quanto accattivante introduzione dell’autrice “Seguito delle mille e una notte e pettegolezzi di un pappagallo” che già di per se’ vale tutta la raccolta e fa da portale d’ingresso alla magia di questo libro.
Ritengo che le Storie del pappagallo rappresentino nel percorso poetico dell’autrice l’approdo verso un nuovo modo di sentire la scrittura. Una disposizione più “giullare” e consapevole che ne caratterizza biografia e poesia “Mi sono cresciuti/ grattacieli tra i capelli// No, non è molto fastidioso/ se non fosse che/ quando mi succede di grattarli/ o anche di strapparmeli/ i capelli/ metti, per esempio/ per una scena di disperazione/ i vetri frantumati/ mi creano un problema/ (pellicules et dèmangeaisons)....” (Capelli).
Un processo evolutivo che dura ormai da anni e che passa attraverso il mito dell’affabulazione e delle storie. Il suo nuovo modo di fare poesia si interseca e si incastra proprio nelle trame della narrazione. La raccolta coniuga infatti racconti e poesie, testi quest’ultimi che non stenterei a definire delle petites histoires.
Ma qual è la vera novità di questa nuova raccolta?
C’è nel libro un abbandono della poesia lirica incentrata essenzialmente sulla seriosità problematica dell’esistenza, per andare oltre, verso una scrittura ironica, autoironica e in alcuni casi addirittura sarcastica, pungente e provocatoria “…col cucchiaino d’argento/ mi rompe la testa, / ad uno ad uno mi succhia i pensieri/ mezzi bianchi e mezzi gialli/ un po’ buoni un po’ cattivi/ alcuni ancora informi/ filamenti inespressi/ trasparenti/ fino a quel pensiero maligno/ che gli scricchiola tra i denti” (Per farmi amare).
Un’ironia che esplode e si dilata a 360 gradi attraverso forme surrealiste, fantastiche e di trasfigurazione del reale. Una poesia non elegica e melodrammatica così come potrebbe essere la poesia del ricordo e del ritorno, ma caratterizzata da levità, ottimismo, seppure a tratti serpeggano espressioni forti e dirompenti, come nel testo Compagno Emigrante o Botanica.
Restano immutati i temi del passato, Gina ironizza sulla vita quotidiana, sul ruolo della poesia e dei poeti, sull’amore, sulla gelosia, sui tradimenti, sul sociale. A volte lo fa scopertamente, a volte utilizzando la maschera della parodia, delle filastrocche, delle antonimie: “Sono io quell’animale/ che fu cacciato via dall’arca di Noè/ Non ero né maschio né femmina/ non avevo né zampe né ali/ non avevo né orecchie, né occhi, né peli./ Anzi, no, avevo un pelo solo/ ma evanescente// Non abbaiavo, non ruggivo/ non ragliavo, non belavo/ ma neppure ero muto come un pesce” (L’arca di Noè).
Il codice linguistico usato è polisemico, ma ci sono interessanti giochi di spiazzamento linguistico, dialoghi o espressioni multilingue (“io, in paradiso,/ voglio arrivarci sul tapis roulant”) forme letterarie più auliche e liriche che si intrecciano ad espressioni più gergali, tutto condito da fantasia e una creatività che conferisce brillantezza e tensione al testo.
Profonda à ancora la conoscenza dello strumentario retorico dell’autrice, che è capace di creare metafore stravaganti ed originali, come scrive Luciana Gravina nella Prefazione, ossimori e brillanti similitudini. Le Storie del Pappagallo sono ancora la sintesi della cultura multietnica dell’autrice che passando dalla Grecia alla Persia, dalla Francia alla Bretagna, fino alla Lucania, si dilata a ventaglio fino al mondo fantastico e magico delle Mille e una notte.
by Maria Pina Ciancio

Gina Labriola, Storie del Pappagallo, Ed ArtEuropa, Roma 2003, E. 10,00
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