01 dicembre 2007

LucaniArt intervista la poetessa lucana Assunta Finiguerra

[incontri -6]
"LA POTENZA ESPRESSIVA DEL DIALETTO IN ASSUNTA FINIGUERRA"
Scrive in dialetto lucano Assunta Finiguerra, la poetessa di San Fele che con la forza appuntita e diretta dei suoi versi riesce a trasmettere passioni ed emozioni che toccano i fondali più reconditi dell’animo. La sua carica espressiva e la sua originalità linguistica ha suscitato notevoli riconoscimenti e apprezzamenti tra i nomi più stimati e noti della critica letteraria contemporanea. Noi l’abbiamo incontrata e intervistata per voi, sul rapporto “simbiotico” e viscerale che vive con la poesia e il dialetto lucano di san fele.

Hai sempre scritto le tue raccolte poetiche in dialetto lucano. Che cosa ti spinge a scegliere come codice espressivo quello del vernacolo?

Premetto che la mia prima raccolta poetica “Se avrò il coraggio del sole” è in lingua, poi mi sono espressa in dialetto perché è nel mio Dna, lo trovo più immediato, più efficace, più colorito della lingua italiana. Sarebbe un recupero delle tradizioni se nelle scuole si dedicasse almeno un’ora settimanale allo studio del dialetto, i giovani quasi lo ignorano, italianizzano i vocaboli e quel magma incandescente, non altro che l’humus naturale della cultura di ogni regione, nel corso degli anni si dissolve, fino a diventare italiano impuro.
Dentro il dialetto vibra il sentimento di chi parla, si trasfigura e si ricrea la materia linguistica, arricchendola d’una nota personale. L’approfondimento di questa materia nelle scuole, condurrebbe il ragazzo all’apprendimento della lingua nazionale, ci sarebbe così un ritorno d’amore verso la grande patria, attraverso il culto della piccola patria natale.

Nelle tue poesie traspare tutta la carica e la potenza primitiva ed arcaica della nostra terra. Come nasce questa simbiosi tra la tua poesia e le radici?

La simbiosi tra la poesia e le mie radici nasce da un dramma interiore, da qui emerge il rapporto uomo-mondo, uomo-Dio, le sfumature che riguardano le ingiustizie del vivere, l’amore o il disamore.
Scrivere per me vuol dire aprire le porte del Tempo, entrare nella dimensione giusta per far sì che il dolore o la gioia, le invettive o l’amore, diventino scorci di vita reale, spiragli sul mondo del sogno, dell’immaginazione e perfino dell’incubo. La bellezza del dialetto è perché scava nella propria realtà interiore e quindi è un potentissimo mezzo espressivo; non manca in questa lingua la vena sentimentale o tragica sulla miseria, sulla morte resa in tono drammatico e senza retorica.

La terra di Lucania come influenza la tua scrittura poetica al “femminile”?

Innanzi tutto non credo che ci sia una scrittura al femminile la poesia, se tale, non ha sesso. Io per esempio, a volte provo odio-amore per la mia terra, nonostante i sentimenti conflittuali di cui parlo alcuni miei versi non sono altro che un canto d’amore verso di essa: … sope a panze na nzerte de fiure janghe / de quere amata terra putendine …sul ventre un serto di fiori bianchi / della mia amata terra potentina… Solije Zone Editrice 2003 Roma.
Sono sicura che tutta la mia poesia nasca da questo terremoto interiore. Non a caso la mia poetica contempla l’amore, il sangue, il dolore, la morte: essendo essa carica di pathos, custodisce dentro il suono della vita, il grido del cuore che si distende in arcate silenziose, lo smarrimento dell’animo tra le nebbie del pensiero, il ricordo infantile sul pentagramma del passato.

Il dialetto è una lingua prevalentemente orale e musicale. Quali sono le maggiori difficoltà che incontri quando devi tradurre le tue poesie in lingua?

Tradurre è un compito molto difficile, “Franco Fortini ha scritto pagine memorabili sui rapporti tra traduzione e tempo storico, gli equivoci nel tradurre in altra lingua, l’impossibilità di far versioni di poesia, specialmente nell’affrontare quel nesso suono-emozione-significati così fondamentale nel fare poetico”. Franco Loi prefazione a Solije.
Condivido pienamente quando dice il grande poeta milanese, la poesia va gustata nella lingua originale, perché la traduzione non è altro che un semplice supporto al testo.

Nel corso del ’900 il dialetto è riuscito ad assurgere a grande dignità letteraria. Quali sono i tuoi rapporti con gli altri poeti dialettali contemporanei?

Pur riconoscendo che molti poeti hanno dato lustro alla poesia dialettale nel corso del ‘900 Pasolini, Biagio Marin, il nostro Albino Pierro ecc. io non mi ispiro a nessuno di loro, la mia è una poesia che non segue nessuna scuola ed è del tutto personale.
I miei rapporti con gli altri poeti, sia dialettali che in lingua, sono improntati sulla stima, sull’amicizia e mai ho messo a confronto la mia poetica con la loro.

Ci puoi raccontare in anteprima di qualche progetto futuro a cui stai lavorando?

Da poco ho terminato la correzione delle bozze – edizioni LietoColle – di una libera interpretazione nel mio dialetto del Pinocchio di Collodi. Se Dio vorrà ho altri progetti per il futuro, essendo lucana terragna e verace preferisco non rivelarli… un pizzico di scaramanzia non guasta mai!

Un grazie e un grande in bocca al lupo ad Assunta da parte nostra, per "Pinocchio" (che aspettiamo con ansia) la poesia e la vita.

by Maria Pina Ciancio

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