23 luglio 2007

A Cassano delle Murge, versi ad alta voce

[riflessioni -3]
Leggere un poema è ascoltarlo con gli occhi;
ascoltare è vederlo con le orecchie
Octavio Paz
Se "il destino della poesia è la voce", credo che manifestazioni come quella di Cassano delle Murge non possano che essere di stimolo e incoraggiamento ad iniziative in cui la poesia ritorni nelle strade e nelle Piazze, tra la gente insomma, con la semplicità e l’umiltà della creazione.
Nella cittadina pugliese, tra gli antichi palazzi, le case in calce bianca, le chiese, gli archi, le piazzette medievali, per tre sere consecutive “la parola” dei poeti è stata recitata, letta, interpretata, cantata.
Numerosi gli artisti che hanno partecipato anche quest’anno alla V edizione del Festival con le loro letture e le loro performance, in un confronto serrato tra diversi modi di scrivere e intendere la poesia, partendo da quella tradizionale, per arrivare agli sperimentalismi di chi la poesia la fa assieme alla musica.
Per l’edizione di quest’anno, la cittadina delle Murge ha accolto poeti con la chitarra, giovani esordienti e maestri affernati, che hanno declamato i loro versi in una lettura simultanea da tre piazzette diverse del pittoresco centro storico cassanese.

E non solo poeti pugliesi, lucani o italiani, ma anche una voce internazionale. La novità di quest’anno, infatti, è stata la presenza di Adnan Al Sayegh (1955), tra i maggiori intellettuali dissidenti iracheni, poeta tradotto in undici lingue, ma non ancora in italiano. Tra i suoi titoli più noti Gli uccelli non amano i proiettili, Nuvole di colla, Cullando il mio esilio. In iraq, gli uomini del regime di Saddam Hussein gli avevano sequestrato due libri, lo avevano condannato a morte e nell’aprile scorso, durante una lettura pubblica nel suo paese, lo avevano minacciato di tagliargliela quella lingua che costruisce versi di libertà. “Ma io non ho mai messo la mia penna nel cassetto e continuerò a scrivere- ha dichiarato in una recente intervista, uscita in questi giorni su La gazzetta del Mezzogiorno - la scrittura è la mia stessa Vita”.

Everty time a dictator falls
From the throne of history, embellished with our tears
I clap my hands until they glow red
But back home when I
Turn on the television
Another dictator flows
From the mouths of the people, from a screen glowing with cheers
I die with laughter
at my naive self
Tears burn my eyes until they glow red
(Naive - Translated by Ko Koomon – Nederland)

Un’altra suadente e ammaliante voce ha attraversato con i suoi toni e le sue vibranti modulazioni tonali, le piazzette del centro storico cassanese, quella della poetessa perugina Anna Maria Farabbi (1959), dalla scrittura caratterizzata da una forte identità femminile e improntata, così come lei stessa ha raccontato all’umiltà, alla profondità e alla levità. La scrittrice ha presentato a un pubblico attento ed entusiata, versi tratti della raccolta inedita “La magnifica bestia” in corso di pubblicazione e poesie e piccole prose contenute nelle sillogi Fioritura notturna del tuorlo, Il Segno della Femmina, La tela di Penelope, Adlujè (da cui estrapolo i versi che seguono):

Madre della luce scoperchiami gli occhi:
falli concavi
come un palmo.
Voglio che siano sosta per gli uccelli
affinché possano pernottare in me
sotto la mia fronte
raccogliendo l'atterraggio, il frullo, l'alzata in
volo
e la brace quasi spenta del giorno. Voglio
tuffare la faccia nel colore
impazzire le vene fino al bulbo buio
e poi franare giù nel foglio
pregna:
io giallo verde blu in persona
con la bocca rosso
arancio,
il foglio,
come un letto zuccherino per fare l'amore.
(da Preghiera: introduzione al colore – A. M. Farabbi)

Uno spazio importante all’interno della rassegna è stato riservato alla rivista culturale la Vallisa, diretta dal Professore Daniele Giancane e alla poesia dialettale barese.

Non sono mancati poi i momenti in cui la poesia e la musica si sono contaminate, grazie alle performances di artisti come Vincenzo Mastropirro con le sue intersezioni sonore e a Maria Moramarco accompagnata dal gruppo degli Uaragniaun.

Uno spazio importante è stato dedicato anche alla poesia lucana della terra e delle radici con i reading di Maria Pina Ciancio e Maria Luigia Iannotti.
Non sono mancate infine le letture e le recitazioni dei classici: da Dante alla Dickinson, da Shakespeare a Neruda.

La manifestazione poetica Notti di Poesie che si è tenuta dal 13 al 15 luglio è stata organizzata dalla pro Loco La Murgianella in collaborazione con i Presidi del Libro e con le Istituzioni Locali. Lo scopo del Festival, come dichiara l’organizzatore e Presidente della Pro Loco Giovanni Brunelli, è quello di avvicinare il pubblico alla “parola” per scoprire quale arcano e magico potere può avere la poesia sulle nostre vite.
by Maria Pina Ciancio

Etichette: , , , ,

16 luglio 2007

Terra nera di Giuse Alemanno

[percosri -15]
Terra Nera non è di Giuse Alemanno. Terra Nera non è neppure di Nino, di Annina né di Bruttacapa, di Zio Peppe. E’ terra nera di un giorno che non conosce tregua, di una canicola gialla e verde, luce perpetua che non si abbuia mai. Luce di fungo atomico, quella che crocifigge a fantasma muscoli e ossa contadine. “L’alba è una luce che lievita. Gonfia, gonfia fino a che non esce il sole. Il nostro sole è un martello che spezza l’osso frontale del cranio. Il nostro sole è fatto d’acciaio”.
Brulica di voci e pani di sangue la luce di terra nera: il sangue di Annina, copioso e d’inchiostro d’ormone, che fiuta il caldo percorso da casa alla fontana dei secchi; quello di don Aldo Fucciano, sventrato in sacrificio come maiale che dia linfa all’ira tracimante di Nino; poi ancora il sangue di Mimino, malarico capro espiatorio di un Sud che non chiede riscatto ma rivolta. Le voci appartengono a chi apparentemente decide o contesta le sorti: ai proprietari terrieri, ai notabili, agli anarchici, alle forze dell’ordine.Invece non hanno parole coloro che muovono la storia, microcosmo tra due zolle, e perciò la modificano, perché Nino e sua madre non dicono. La vergogna contadina del silenzio analfabeta, che del Novecento è stata periodo incidentale tra patti agrari e occupazione delle terre e che negli anni Sessanta diventava motivo ispiratore nel Mugello di una alfabetizzazione linguistica e psicologica, qui si tramuta in rigo rosso marchiato sui corpi, corpi aperti da lame affilate o barattati come pegni per l’amore che soggioga.Non conosciamo Annina bambina, nulla ci vien detto dei suoi giochi tra le mura bianche della casa familiare. E’ davanti a noi subito come centro focale di una terra grassa dalla esplosiva carica sessuale, preadolescente che rovescia il rito inibitorio dei genitori per perpetuare non più onore e pudicizia, ma denudare le pulsioni che alimentano l’artificio della magia, codice di elaborazione culturale e regolatore dei rapporti sociali nel mondo contadino. Vero e proprio magnete sessuale, Annina esercita una fascinazione potente sui maschi che avvicina e, diventata sposa e madre, gestirà con patriarcale cognizione i cupi tremiti degli uomini che sceglierà.E’ una terra nera che dorme apparentemente sotto polvere antica. Chi non l’abbandona la detesta.La preserva dal mutamento, la ricalca nel male. Ma il male ha davvero dimora esclusiva in Nino? Nino…che non ha bisogno delle cinque lire per prendersi un’istruzione, come nelle campagne della Capitanata agli inizi del secolo scorso. Gliela elargisce il Professore, grazie agli accorti movimenti della madre Annina, ma non si scatenerà una redenzione culturale che possa rovesciare i ruoli di classe, la distanza tra l’allievo e il maestro si rivelerà incolmabile. Nino, che è bracciante, stalliere, soprastante. Matteo Salvatore ha musicato i soprastanti in ballate secche e poetiche, Giuse Alemanno fa annusare l’odore dei loro comandi sferzanti sui cafoni, della loro paura e sottomissione ai padroni.Nino, che sa qual è l’origine del suo incubo, il suo perno d’amore totemico, morso fascinatore e distruttivo, quando cerca la madre in una casa vuota di suoni e di calore e di presenze:” E c’era, stesa sul letto pieno solo da una parte, a dormire. Il volto perfettamente rilassato. La bocca leggermente aperta. La sottoveste appena tirata sul polpaccio. Mai tanto mi turbò. Mi riempii un bicchiere di vino fino a versarlo sul tavolo (…). Fissai il muro bianco. Bevvi il vino e piansi tutte le mie lacrime di dolore e di vergogna”. Nino, “nutrito dal dolore”, che nidifica nelle sue vene senza pace, senza lacrime, in autarchia emozionale e trova sfogo nella smania di controllare proprietà, destini, giochi esistenziali. Zio Peppe è figura ammaliante, sporco di imbroglio e di animalesco disprezzo, demiurgo dell’intera vicenda, avvolto da un’aura semisacrale, capovolge e impiega a suo vantaggio ogni possibile forma di ottusa usurpazione. Terra Nera è lingua di creta, con cui Giuse Alemanno plasma le forme opulente di Annina, il dito famelico del ginecologo, lo sputo roboante di Zio Peppe, le mani sole e rapaci di Nino.L’architettura dei brevi e ritmati periodi, armoniosa, soffia su un lessico corale scarno e carsico, s’addentra per gravine e si lascia poroso penetrare da un vento gutturale che suona una nenia stordente. E’ un ordito sonoro uniforme, scandito dagli sputi di Zio Peppe, veri e propri fonemi di un alfabeto di regolamento e rapina del mondo, rintocchi di spietata supremazia e prossemica definizione dei rapporti di forza. Questi cafoni annullano le distanze dal mito, si ribellano al determinismo di ottocentesca memoria e chiudono varchi a distorte idealizzazioni. Un romanzo di formazione, in cui la violenza arsa si lascia piegare infine da una goccia perfetta di amore, vagheggiato da Nino e non ricambiato, alla quale ci aggrappiamo insieme a lui, nella convinzione che il suo apprendistato nasconda una preghiera di libertà e un non domato istinto di governo del male.“ Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guardando il paese nero, e ascoltando il mare che gli brontolava là sotto. E ci stette fin quando cominciarono ad udirsi certi rumori ch’ei conosceva, e delle voci che si chiamavano dietri gli usci, e sbatter d’imposte, e dei passi per le strade buie. (…) Allora tornò a chinare il capo sul petto, a pensare a tutta la sua storia.” (Giovanni Verga –‘ I Malavoglia’).

8Terra nera, di Giuse Alemanno, Edizioni Stampa Alternativa.
by Erminia Daeder

Etichette: , ,

Statistiche sito,contatore visite, counter web invisibile