La prosa antiretorica di Vito Riviello
[Percorsi -2]
Vito Riviello è nato a Potenza nel 1933 e vive a Roma. E’ tra i più singolari poeti contemporanei. Dopo aver esplorato e sperimentato la scrittura poetica in tutte le sue forme, dal gioco fonico-ritmico e inventivo a un raffinato e popolare sarcasmo, approda al racconto breve. “E arrivò il giorno della prassi” è un’opera a metà strada tra autobiografismo e testimonianza, apprezzabile per l’originalità della scrittura e l'autenticità dell’argomento.
La storia è ambientata nella Potenza degli anni 50-60. Una cittadina di provincia alle prese con i problemi del dopoguerra e la ricostruzione, distante dai grossi centri culturali, ma nonostante tutto in fermento. Decio, Pepè, Carletto, l’autore stesso, sono questi i nomi di un gruppo di giovani studenti che si affacciano alla vita sociale e culturale del paese, con sparuta timidezza all’inizio, con maggiore consapevolezza successivamente, seppure coscienti dei propri limiti. La loro è una lotta che nasce dal contrasto e dalla presa di distanza dal mondo dei padri, dall’autorità costituita, dai valori assoluti. Un ritratto generazionale insomma. Un tema del passato e del presente , la cui azione vera e propria si concretizza all’interno del mondo della scuola nel contrasto tra studenti e professori, che esercitano il loro potere attraverso l’alibi della cultura.
Emerge dal gruppo di studenti energia, ideali e voglia di riscatto, ma anche consapevolezza di “essere soli, scoordinai dinanzi a un apparato che non riuscivamo proporzionalmente ad affrontare”. Il sistema si difendeva, ordinava, zittiva e puniva. Puniva alle interrogazioni, prometteva di punire soprattutto all’esame finale, quello che il gruppo definiva ironicamente “il giudizi finale”.
Ha interessanti spunti di lettura questo libretto di Riviello, il rigidismo istituzionale della scuola, il tentativo di dialogo di qualche sparuto insegnante con gli studenti, la satira al nozionismo scolastico, e soprattutto l'incapacità del sistema di saper dialogare, di essere educativo. Se è vero che la corsa di Decio, Carluccio e gli altri sarà arrestata con l’emblematica bocciatura finale, il vero sconfitto di questo libro sarà il sistema scolastico. Scrive Riviello nelle ultime pagine “sapevamo che le loro coordinate di tiro ci avrebbero, prima o poi raggiunto e affondato. Ci stavano svuotando volevano la distruzione del nostro io dal piedistallo personale, tiravano come per abbattere il nostro tenero monumento da carta d’identita”. E così subirono tutti un’esemplare e plateale azione punitiva “coi pugni chiusi e gli occhi aperti (…) La bocciatura si trasformò in un deserto di rose”.
Lo stile del racconto è parodistico e ironico, dai toni forti, a tratti sarcastici. I personaggi si rivelano attraverso il non detto e il sottinteso, in una prosa antiretorica che predilige il taglio obliquo, un periodare complesso e un ampio ventaglio lessicale, senza per questo cadere in artificiosità formali. Nel libro non mancano constatazioni e giudizi, anche spietati, che adottano formulazioni ironiche forse per esorcizzare paura e rifiuto sempre in agguato a insidiare la sensibilità e l’equilibrio. E allora le interrogazioni diventarono "interrogatori" –mostrando i segni del più sterile nozionismo- i professori "La Confraprofessori", l’esame finale "Il giudizo Universale". Un linguaggio di resistenza, golpe, barricate, complicità clandestina dà al racconto sapore di vecchi ed eroici ricordi partigiani.
Vito Riviello è nato a Potenza nel 1933 e vive a Roma. E’ tra i più singolari poeti contemporanei. Dopo aver esplorato e sperimentato la scrittura poetica in tutte le sue forme, dal gioco fonico-ritmico e inventivo a un raffinato e popolare sarcasmo, approda al racconto breve. “E arrivò il giorno della prassi” è un’opera a metà strada tra autobiografismo e testimonianza, apprezzabile per l’originalità della scrittura e l'autenticità dell’argomento.
La storia è ambientata nella Potenza degli anni 50-60. Una cittadina di provincia alle prese con i problemi del dopoguerra e la ricostruzione, distante dai grossi centri culturali, ma nonostante tutto in fermento. Decio, Pepè, Carletto, l’autore stesso, sono questi i nomi di un gruppo di giovani studenti che si affacciano alla vita sociale e culturale del paese, con sparuta timidezza all’inizio, con maggiore consapevolezza successivamente, seppure coscienti dei propri limiti. La loro è una lotta che nasce dal contrasto e dalla presa di distanza dal mondo dei padri, dall’autorità costituita, dai valori assoluti. Un ritratto generazionale insomma. Un tema del passato e del presente , la cui azione vera e propria si concretizza all’interno del mondo della scuola nel contrasto tra studenti e professori, che esercitano il loro potere attraverso l’alibi della cultura.
Emerge dal gruppo di studenti energia, ideali e voglia di riscatto, ma anche consapevolezza di “essere soli, scoordinai dinanzi a un apparato che non riuscivamo proporzionalmente ad affrontare”. Il sistema si difendeva, ordinava, zittiva e puniva. Puniva alle interrogazioni, prometteva di punire soprattutto all’esame finale, quello che il gruppo definiva ironicamente “il giudizi finale”.
Ha interessanti spunti di lettura questo libretto di Riviello, il rigidismo istituzionale della scuola, il tentativo di dialogo di qualche sparuto insegnante con gli studenti, la satira al nozionismo scolastico, e soprattutto l'incapacità del sistema di saper dialogare, di essere educativo. Se è vero che la corsa di Decio, Carluccio e gli altri sarà arrestata con l’emblematica bocciatura finale, il vero sconfitto di questo libro sarà il sistema scolastico. Scrive Riviello nelle ultime pagine “sapevamo che le loro coordinate di tiro ci avrebbero, prima o poi raggiunto e affondato. Ci stavano svuotando volevano la distruzione del nostro io dal piedistallo personale, tiravano come per abbattere il nostro tenero monumento da carta d’identita”. E così subirono tutti un’esemplare e plateale azione punitiva “coi pugni chiusi e gli occhi aperti (…) La bocciatura si trasformò in un deserto di rose”.
Lo stile del racconto è parodistico e ironico, dai toni forti, a tratti sarcastici. I personaggi si rivelano attraverso il non detto e il sottinteso, in una prosa antiretorica che predilige il taglio obliquo, un periodare complesso e un ampio ventaglio lessicale, senza per questo cadere in artificiosità formali. Nel libro non mancano constatazioni e giudizi, anche spietati, che adottano formulazioni ironiche forse per esorcizzare paura e rifiuto sempre in agguato a insidiare la sensibilità e l’equilibrio. E allora le interrogazioni diventarono "interrogatori" –mostrando i segni del più sterile nozionismo- i professori "La Confraprofessori", l’esame finale "Il giudizo Universale". Un linguaggio di resistenza, golpe, barricate, complicità clandestina dà al racconto sapore di vecchi ed eroici ricordi partigiani.
by Maria Pina Ciancio
Vito Riviello, E arrivò il giorno della Prassi, Ed. Empiria 1999
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